Tutta colpa di “Tutta colpa di Freud”,
se da quando sono uscita dal cinema Odeon di Milano, sono ritornati i pensieri
più antichi del cuore di una donna, quelli sull’amore. E pensare che c’ero
quasi riuscita: era da settimane che esercitavo i “no” sui maschi. E si sa,
meno si cerca, più si trova.
Intervistare adesso Paolo Genovese,
oltre ad essere un onore ed un piacere, è il pretesto per avere dei chiarimenti
e ottimi consigli.
1) Un po’ Sara, un po’ Marta, un po’ Emma, lei sa,
dott. Genovese, quanto può far male un film come il suo ad una donna complessa
che si rivede nelle tre figlie dell’analista Francesco (Marco Giallini)?
Ovviamente le sto rivolgendo un complimento, noi amiamo proprio questo nei film
e nei romanzi, il dramma. Lo so, il suo non è un film drammatico, ma si fidi, per
alcune donne il dramma c’è sempre. Il comic-dramma possiede un effetto
curativo, catartico, straordinario e viene quasi sempre ricercato. Lei, Paola
Mammini e Leonardo Pieraccioni avete pensato al soggetto del film
indirizzandolo sin da subito ad un pubblico prevalentemente femminile?
L’idea era quella
di raccontare tre donne diverse, quindi chiaramente si pensava di fare una
commedia femminile, però non necessariamente. Poi le commedie femminili sono
indirizzate solo ad un pubblico femminile; ecco insomma, in questo caso, il
taglio è quello però viene comunque vista attraverso gli occhi del padre,
quindi c’è sia un punto di vista femminile che un punto di vista maschile, in
qualche modo.
2) Sagace e ironica, la commedia riesce a far ridere
quasi ininterrottamente il pubblico. Già sin dal trailer, esilarante, si è incuriositi.
Come nasce l’idea di questa trama? Mi interessa davvero sapere dove si trovava
quando è giunta la storia, se c’è stato un volto che l’ha ispirata… stava
passeggiando in qualche via? Insomma vorrei sapere una curiosità biografica
della storia stessa, qualche particolare quotidiano dell’invenzione.
Questo è
abbastanza difficile da capire, nel senso che purtroppo un’idea non nasce mai
in un momento. C’è un momento in cui si decide di fare un film. Questo film è
nato stratificato, quindi l’idea di fare una commedia al femminile è il punto
di partenza. Già parecchi anni fa volevo fare un film che trattasse questo
tema. Poi purtroppo le storie d’amore sono state sviscerate in tutti i modi,
non è facile essere originali su commedie sentimentali. Quindi piano piano, nel
tempo, ho cominciato a pensare a quali potrebbero essere dei punti di vista
originali, perché se magari, ecco, sull’amore è stato detto molto, se non
tutto, quello che noi possiamo fare, come autori, è cercare quanto meno un
punto di vista originale.
Quindi nel tempo
è venuta fuori la storia del sordomuto, in qualche modo mi piaceva trattare
l’handicap. Successivamente, poi, la storia della Foglietta, comunque trattare
l’eterosessualità al contrario mi divertiva. E poi, l’ultima storia… ma insomma
sono venuti in tempi diversi, in momenti diversi. Certamente dopo “Una famiglia
perfetta”, ho deciso di fare, di raccontare questa storia, in maniera embroniale
era già sparsa negli appunti, ecco.
3) Romanzo, soggetto, sceneggiatura. Scrivere un
romanzo è senz’altro più complicato, pesante, che concludere un soggetto o una
sceneggiatura. Mi sbaglio? Per la prima volta lei si è gettato nella fatica
letteraria della stesura dell’opera: è infatti possibile trovare “Tutta colpa
di Freud” edito dalla Mondadori. Ci racconta la differenza nel suo approccio al
lavoro di redazione? Quanto il romanzo viene scarnato per essere sceneggiatura?
E che tempi verbali ha usato nel primo e quali nella seconda? Un esempio. Se
dovessi descrivere una scena per un libro, io userei il passato, mentre per una
sceneggiatura mi verrebbe più naturale il presente. È così scontata e diretta
la differenza?
Beh, sicuramente
è più complicato, se non altro perché il romanzo è un opera compiuta, nel senso
quello è. Mentre una sceneggiatura è
un’opera incompiuta, nel senso che la sceneggiatura rimane lì: senza essere
girata, non ha valore.
Romanzo e
sceneggiatura sono proprio cose diverse, il romanzo è un prodotto finito, il
romanzo va al pubblico. Il pubblico deve leggere e dentro il romanzo deve
trovare tutto ciò che fa parte del tuo racconto. Poi puoi scegliere di scrivere
al passato al presente, ma è una questione di stile. La cosa importante è che
sia autosufficiente, ecco il romanzo racconta completamente la tua storia. La
sceneggiatura, in realtà, è uno strumento tecnico, non andrà mai in mano a
nessuno, se non a chi gira il film. Quindi ognuno se la scrive come vuole, per
me sono quasi degli appunti. Ed è al tempo passato perché necessariamente è lo
strumento che racconta cosa sta succedendo, ma sono proprio due cose diverse.
4) Lei si è laureato in economia e commercio a Roma,
città in cui è nato. Quando ha capito che il mondo del cinema era la sua
priorità? E come ha resistito agli studi di economia, avendo una vena
artistico-creativa?
Nasce da sempre
perché ho una piccola compagnia teatrale e mi piaceva comunque raccontare
storie, scrivevo, eccetera eccetera. Però ovviamente da lì a farne una
professione, la distanza è lunga, quindi comunque mi sono segnato in economia
con l’idea di, in qualche modo, ecco, avere un piano b. Poi ho cominciato con i
cortometraggi come tante persone, e sono stato fortunato, se sono riuscito a
fare questo lavoro, ma non era scontato. Quindi gli studi erano il mezzo per
comunque garantirmi un futuro, non essendo di famiglia ricca, mi devo mantenere
in qualche modo.
5) Regista e film preferiti? Quelli che segue come
modelli e quelli con i quali sente maggiori affinità?
Ci direbbe anche qualche nome di attrici e attori
stranieri con i quali le piacerebbe collaborare?
Ce ne sono
tanti, mi piacciono le commedie inglesi, che sono satiriche, pungenti; mi
piacciono le commedie sentimentali americane. Andando nel passato, tra i miei
preferiti, c’è tantissimo Monicelli, De Sica mi piaceva tantissimo. Insomma c’è
una cinematografia molto ampia. Io sono onnivoro, amando il cinema, prendo di
tutto.
Mi piace molto Anna
Hathaway, trovo sia molto brava, bella, intensa, mi piace molto. Come attore,
in Italia, mi piace Elio Germano, mi piacerebbe lavorare con lui, insomma.
All’estero ce ne sono così tanti, Javier Bardem mi piace molto.
6) Una caratteristica che salta subito all’occhio e
all’orecchio del pubblico italiano quando guarda “Tutta colpa di Freud” è la naturalezza
degli attori e delle scene. Ottima sceneggiatura, ottimi movimenti e
scenografie. Viene più volte da esclamare che non sembra neppure un film
italiano. Conoscerà sicuramente il brutto pregiudizio che ci portiamo nei
confronti del cinema nostrano. Quello che “le nostre serie televisive e i
nostri attori sembrano finti” e tutti “amiamo il cinema americano”. Siamo di
fronte ad un bel problema: agli italiani spesso non piace la regia e la
recitazione italiana più recente. Forse è tutta conseguenza del solito
disfattismo del cittadino medio. Lei ha, infatti, lavorato con molti bravissimi
attori e in quest’ultimo suo film ne ha dato una splendida galleria: Vittoria
Puccini, Anna Foglietta, Claudia Gerini, la giovanissima Laura Adriani, per
continuare con Marco Giallini e Alessandro Gassman. Qual è la caratteristica
che non deve mancare ad un buon attore? E quale consiglio si sente di dare a
chi volesse intraprendere quest’arte? C’è un esercizio, un segreto che vuole
regalarci?
Sicuramente lo
studio. Io penso che gli artisti che si amano definire tale, punto, non
esistono. Trovo che questo sia un lavoro, quindi prima di essere artisti,
bisogna essere dei professionisti. E quindi puoi avere talento, no, avere
talento è fondamentale, ma il talento da solo non basta. Il consiglio è
comunque approcciarsi a questo mestiere come un mestiere, cioè non pensare di
svegliarsi una mattina e dire io so
recitare, andare sul set. Quindi studiare, studiare, sstudiare...
applicarsi. Ci sono tante scuole, ognuno deve trovare la sua strada, c’è il
centro sperimentale. Però il fatto non è consigliare una scuola, è consigliare
una forma mentis. Studiare, acquisire delle conoscenze, ecco.
7) Pieraccioni è un altro regista e attore italiano
amatissimo. Già da tempo avete instaurato una solida collaborazione. Quando e
come è nata? Cosa vi unisce e cosa vi rende diversi? Ci parli un po’ anche di
Paola Mammini.
Ma guarda con
Pieraccioni, allora lui mi ha chiamato per scrivere la sua sceneggiatura,
insieme, insomma, del suo nuovo film “Un fantastico via vai”; quindi abbiamo
lavorato insieme a “Un fantastico via va”, ci siamo trovati bene e in qualche
modo ha collaborato alla scrittura del soggetto.
Stesso discorso
con Paola Mammini, ci siamo conosciuti, ci siamo trovati bene. Lei è molto
brava, è una sceneggiatrice che ho imparato a stimare molto e quindi abbiamo
collaborato insieme a questo soggetto. Non escludo che lavoreremo insieme in
futuro, ecco.
8) Sereno il
finale: tre lieto fine e due no. Pensa di aver scritto delle dinamiche
realistiche, probabili a verificarsi? Alimenti pure la speranza del suo
pubblico oppure ci dica se ci sono delle scene che cambierebbe con il senno di
poi.
Insomma
il realismo è importante sino ad un certo punto nelle commedie. L’importante è
che siano verosimili. E quindi in qualche modo, no, non cambierei niente.
9) Orientamento
sessuale. Secondo Lei è possibile scegliere un orientamento come cerca di fare
Sara? Scegliere un amore si può? Ha dato quel finale ad Anna Foglietta perché
crede che non si possa cambiare per volontà personale? Sa, da piccola le
lenticchie non mi piacevano, poi una sera mi venne un’improvvisa voglia di
lenticchie e da allora le mangio. Ecco, crede che i cambiamenti di gusti così
repentini e casuali possano esserci anche in amore? Tutto sommato sono felice
di non aver conosciuto Freud… chissà che giudizio acido e sessista mi avrebbe
dato!
No,
secondo me è molto difficile scegliere un orientamento, perché penso sia qualcosa
di profondamente innato. E quindi per quanto la ragione si possa sforzare di
andare in qualche direzione, poi alla fine a prevalere è sempre l’istinto.
10) Ho una domanda abbastanza criptica da rivolgerle
adesso, la cui risposta serve solo a me. Lei, o chi ha ideato il soggetto con
lei, ha per caso visto la serie televisiva americana “The L word” di Ilene
Chaiken? Ne ha sentito parlare?
No,
no, mai sentito.
11) Gentilissimo dott. Genovese, è stato davvero
interessante poter concludere questa intervista con lei. Le chiedo un saluto ai
lettori, ma prima di congedarla, devo confessarle un’ultima cosa: sono sempre
sfrontata e scherzosa, giunta all’ultima domanda delle mie interviste. Penso di
avere un soggetto da proporle, le piacerebbe fare un tentativo di lettura?
Sì,
sì, certo. Lo manda via mail… volentieri. Un
caro saluto ai vostri lettori.