Le 10 domande + 1 di Joìne.
Tra mazaresi e mazzarisazzi.
Anna
Zinerco, di professione psicologa psicoterapeuta, è una delle persone più
stacanoviste, con maggiore iniziativa e voglia di fare per gli altri, che io
conosca. Ha scommesso e scommette tutt’oggi la sua carriera sul territorio e
sulla Sicilia, ragion per cui la definisco “mazarese” con il massimo punteggio.
Anna è una fonte d’acqua fresca in un campo sempre più arido e, scusatemi, ma
la rarità e la bravura di certe persone necessitano le dovute sottolineature,
perché bisognerebbe prenderle a modello, sopratutto laddove è più impervio e
abbandonato il paesaggio in cui si opera. Se poi si collabora con persone così,
tutto diventa una grande occasione.
Ora certamente
lei si arrabbierà leggendo questi elogi, so che avrebbe preferito
un’introduzione più ironica, ma chi c’a fari, Annù? Come potrei? Ci conoscevamo
appena, quando mi hai fatto un’intervista (di seguito il link in cui se ne
legge una parte: http://www.teleibs.it/cultura-e-sociale/650-intervista-a-giuseppina-biondo) e mi
hai promossa sul web: tutto in maniera inaspettata e di conseguenza
sorprendente. E adesso vorresti che io
fossi ironica? Non chiedermi di confondere l’ironia con la gratitudine! Le
risate lasciamole alle nostre sere mazaresi e alle continue e rinnovate “confessioni”.
1)
Introduci la tua biografia. A che età ti è stato chiaro cosa volevi diventare?
Quando ti sei resa conto di essere diventata la tua professione? Ti senti,
infatti, più rappresentata dal tuo nome o dalla tua carriera?
Considerato che
sono le 7.20 di venerdì mattina e che sono “arrossita fino alla punta dei
capelli” per la tua introduzione, direi che ormai mi conosci…Allora, la mia
biografia. Io dico sempre che “se fossi nata maschio, sarei diventata barbiere
(come mio padre) ma, essendo una femmina, non ho potuto… ma continuo ad
occuparmi della testa!”. Esattamente non ricordo quando ho deciso di diventare
psicologa, ma al momento di scegliere tra Psicologia e Lingue, altra mia grande
passione, mi sono detta: “Quale sarà la facoltà della cui scelta non mi pentirò
mai, guardandomi indietro?” Ed eccomi qui. La mia, e tu che mi conosci lo sai,
è una scelta d’amore. E come tutti gli amori, ci sono le rose profumatissime e
le spine acuminate…ma che ci posso fare? Questo lavoro mi rende felice. Io sono
una psicoterapeuta, nel senso che questo lavoro è profondamente parte di me, ma
faccio anche la psicoterapeuta perché fuori dal lavoro io “stacco”: io non
psicoanalizzo la gente che frequento fuori dal lavoro né gli amici, non faccio
interpretazioni non richieste. È una mancanza di rispetto nei confronti delle
persone che frequento e del mio lavoro. Ma io sono ancora ben lontana da ogni
compiutezza: ogni giorno mi rendo conto di quanto sia necessario studiare, e
lavorare su di me. Io sono orgogliosa del mio nome: in ogni momento mi ricorda
le mie origini, la mia rete familiare, la mia storia. Le mie origini mi danno
consapevolezza, mi aiutano a ritrovarmi nei momenti di sconforto e mi danno
l’energia per andare avanti. La mia carriera è un prodotto. È ciò che faccio.
Ma sarebbe troppo riduttivo identificarmi con la mia carriera. È come se
dicessimo che esistiamo solo quando siamo “in linea” su fb. Il mio lavoro è
parte di me. Ma non siamo la stessa cosa. Io sono anche altro. E chi mi conosce
“offline” lo sa.
2) Il tuo
percorso studi? Come credi che debba essere l'istruzione nel tuo campo? Ti
piace più l'ordine o il disordine nelle idee e nei progetti?
All’inizio
dell’università ho fatto fatica a ad ingranare. Ho avuto delle difficoltà nel
dare i primi esami. Quando poi ho cominciato non mi sono più fermata, e ad ogni
materia prendevo gusto a ciò che studiavo. La gruppoanalisi, ossia la
prospettiva secondo cui ogni individuo è psicologicamente parte di una rete di
relazioni, è stata una grande scoperta che poi mi ha guidato nella scelta della
mia scuola di specializzazione. Una folgorazione autentica è stata la
psicologia dell’handicap con la prof.ssa Sabina La Grutta, che mi ha “iniziato”
allo sguardo verso le famiglie, mentre la psicosomatica mi ha permesso di
scoprire come il corpo sfoghi in sintomo le emozioni che non siamo in grado di
pensare. Sento dire che la nostra facoltà è pesantemente teorica. Vero. Ma la
teoria è fondamentale, lo capisci a posteriori. Tanto quanto lo studio e
l’aggiornamento continui. Ma, poiché in questo lavoro si entra in contatto con
le persone che soffrono, non puoi mettere davanti a loro studenti che non hanno
né cognizione del problema né un’etica della relazione. Al dolore degli altri
devi avvicinarti in punta di piedi con l’umiltà dell’ospite, non con la
superbia del padrone.
Ma, poiché la
tentazione di tutti gli universitari alle prime lezioni è di sentirsi già laureati,
mi viene la pelle d’oca a pensare (e so purtroppo che è una realtà) a tutti
quegli studenti che si lanciano in diagnosi e interpretazioni “classificando”
chiunque gli capiti a tiro, pertanto ritengo giusto che la prima parte degli
studi sia solo didattica e la seconda (i tirocini) più esperienziale. In questo
i tutor hanno un ruolo chiave, perché insegnano l’etica del lavoro quasi prima
del lavoro stesso.
È frustrante
osservare e non fare, lo è stato anche per me, quando “mordevo il freno” per
vedere pazienti. Ma ad oggi sono grata a tutti i professionisti che ho
incontrato che mi hanno mostrato la serietà e la delicatezza della nostra
professione. Nei progetti, adoro il caos creativo da cui poi si genera
l’armonia, il disordine carico di energia che porta a scoprire nuove prospettive.
3) Quali
sono i tuoi modelli e cosa credi di avere in comune con essi?
Modelli per me sono tutte quelle persone che ho
incontrato e dai quali ho appreso qualcosa. I modelli sono i Maestri della mia
professione, quelli di cui ho letto i libri (Freud, Jung, Lacan, Napolitani,
Recalcati, ecc…) e quelli che uniscono la professionalità all’autoironia. Ad
esempio Giulio Gasca, Maurizio Gasseau, Calogero Lo Piccolo, Nicoletta Livelli,
Manuela Maciel, per citare persone che sento vicine professionalmente e
affettivamente. E la mia tutor e magistrae
vitae Alma Adamo, psicoterapeuta dell’Asp 9, che ho incontrato in un momento
cruciale. Ma modelli sono anche alcuni colleghi, e poi anche amici e molte
altre “insospettabili” persone che incontro ogni giorno e dalle quali “rubo con
gli occhi e col cuore” elementi di grandezza e di bellezza, gesti di cura,
capacità di entrare in relazione con l’altro. Maestri senza cattedra, ma
indubbiamente ad honorem. A tutti
loro va la mia gratitudine.
4) Un
uomo o una donna con cui faresti coppia artistica?
Mariangela Melato, Anna Magnani,
Totò, i tre De Filippo, perché nei loro lavori mi sono ritrovata spesso per il
modo profondo con cui hanno raccontato la vita. Ma mi piacerebbe anche lavorare
con Erri De Luca, di cui ammiro il modo di vedere e raccontare.
5) Ti
senti più una professionista bambina, una ribelle adolescente o matura?
Credo di essere “adulta in divenire”, e
professionalmente lavoro ogni giorno su di me per sviluppare un equilibrio
dinamico per poter essere un riferimento saldo per i miei pazienti. Essere una
professionista bambina per me significa pensare a questo lavoro come un modo
per ricevere attenzione e gratificazione, per essere riconosciuti dalla gente
per via del titolo di studio come se facesse diventare “un punto in più degli
altri”. Essere una ribelle adolescente mi fa pensare alla trasgressione delle
regole (del setting e della professione) che finisce con lo svalutare questo
stesso lavoro, come la confidenza tra paziente e terapeuta o il non rispetto
del segreto professionale, viste come “modernizzazioni”. La maturità
professionale (rispetto alla quale sono solo agli inizi) secondo la mia visione
è riscoperta consapevole del senso delle regole, comprensione della delicatezza
di questo lavoro che porta ad entrare nelle vite degli altri, e un senso di
pudore e di rispetto verso chi trova il coraggio di chiedere aiuto. Maturità fa
rima anche con umiltà e solitudine. Mi arrabbio quando, anche bonariamente, sento
dire che è facile fare questo lavoro oppure “io sarei uno psicologo migliore di
te”. Sostare con un paziente nei suoi abissi, essergli vicino nel suo dolore,
resistere alla tentazione onnipotente di salvarlo e nutrire per entrambi la
speranza che quella persona potrà trovare il modo di stare meglio è tutto
tranne che facile. Anzi, a volte è massacrante. Ma ogni giorno sono grata alla
mia psicoterapia personale che mi ha permesso di scendere nei miei personali
abissi e illuminare ciò che mi era nascosto ma condizionava la mia vita, per
poi uscire “a riveder le stelle” dopo questo percorso, più consapevole e
capace, quindi, di stare vicina ai miei pazienti che l’affrontano con me.
6)
Politica. Cosa pensi debba essere? Quanto partecipi a quella mazarese e cosa si
dovrebbe fare per migliorarsi?
Come cittadina cerco ogni giorno di
essere un “esempio credibile”. Ciò significa prendermi le mie responsabilità,
ricordandomi che ogni mia azione ha sempre delle ricadute, costruire relazioni
basate sul rispetto della dignità dell’altro, scegliere di agire senza cercare
scorciatoie o prevaricazioni. Questo è il mio modo. Penso che chi si occupi di politica
debba “servire la comunità”, non
“servirsi della comunità”.
7) Una
descrizione, una peculiarità, della tua carriera e della tua persona.
Per me ogni giorno è un nuovo inizio, e ogni giorno possiamo
(ri)diventare protagonisti della nostra vita e volgerla al meglio anche
compiendo scelte minime. Da un punto di vista lavorativo, la mia carriera
ricomincia ogni giorno nel senso che mi rendo conto che ho sempre tanto lavoro
da fare su di me, tanto da scoprire. Non dormo sugli allori (anche perché non
ne ho!), ma ho sempre la curiosità di studiare, aggiornarmi, confrontarmi…non
ho nulla da insegnare, ma ho tutto da imparare.
8) Fino a
dove si spinge la tua ambizione? Puoi dirci il tuo prossimo progetto?
La mia ambizione non arriva in alto, alle vette
della notorietà. Direi piuttosto che voglio arrivare in profondità. Cercare di
fare sempre del mio meglio in ogni cosa, che non significa per forza dover
raggiungere sempre l’eccellenza. Sebbene abbia avuto qualche situazione di
visibilità mediatica, non la ricerco. Quando mi sono capitate sono state indubbiamente piacevoli, anche
utili per farmi conoscere, ma le ho affrontate con autoironia. Per me sono state
opportunità, non obiettivi. Sono stati la punta visibile di un impegno
costante.
La mia ambizione mi porta a mettermi a confronto con
gli altri colleghi per spronare me stessa, ma non mi interessa competere per
primeggiare. Innanzitutto perché ciascuno psicologo ha delle peculiarità che
rendono lo stile e la formazione di ognuno unici, in secondo luogo perché in
questa professione è il paziente che sceglie il suo terapeuta, non il
contrario.
Il prossimo progetto? Per ora nulla di nuovo. Mi sto
dedicando all’apprendimento di alcuni argomenti.
9)
Rinunceresti a fare ciò che fai per qualcuno? Se sì, per chi o per cosa?
Questo lavoro, lo ribadisco, è il mio grande amore
ed è parte di me. Non potrei mai accettare di rinunciarvi per qualcuno che, in
questo modo, mi dimostrerebbe di non tenere a me. Potrei rinunciarvi per mia
scelta solo se sentissi che ormai quest’amore s’è spento, ma ad oggi non so
dirti se questo accadrà mai. Tuttavia sono anche realista: i sogni aiutano ad
andare avanti ma ho anche la necessità reale di guadagnarmi da vivere; però so
che farei - come fanno altri miei colleghi e come faccio anch’io - più di un
lavoro per continuare a svolgere l’attività clinica.
10) Porgi
ai lettori un saluto che ti caratterizza e invita il pubblico a conoscerti,
motivali qualora ce ne fosse bisogno.
Un saluto che mi caratterizza è di
certo “Buona giornata e buon lavoro”. Come posso invitarvi a conoscermi? Vi
riporto la battuta che mi è stata indirizzata l’altro giorno: “Anche gli
psicologi sono persone!”. Prima di tutto e sempre sono una persona. E come tale
abbiamo tantissime cose in comune. Basta superare la diffidenza e la paura e
scoprirete che non sono tutto questo gran “spavento!”. Se vorrete conoscermi
incontrerete Anna, non la dott. La stessa persona che la nostra Joìne ha conosciuto
e che vi sta presentando. Se poi avrete bisogno del mio aiuto professionale,
potremo trovare il tempo e il luogo opportuni.
11) Cara
Anna, era ora di ricambiare l’intervista conclusa nel 2011… questa volta sei tu
l’ospite della pagina ed io la caposala che dispone i quesiti. Oltre ad essere
felice per averti aggiunta tra i personaggi delle “10 domande + 1” e ad averti
classificata indubbiamente tra i “mazaresi”, potrei continuare sottolineando
che sono felice di poterti annoverare tra le mie amicizie. Forse molti non
sanno che ho anche dato il tuo cognome ad una protagonista di una novella!
Oddio! Proprio
non mi riesce di essere simpatica in questa intervista! Dottoressa, non è che
ho una forma di inibizione da lettino d’analista? Sarà perché sono distesa sul
divano di casa, ma mi sento sotto osservazione! Ahiahi, ma a voi psicologi
quanto vi tocca combattere il luogo comune che venire nei vostri studi non sia
sintomo di pazzia?
“Joìne,
con tutto l’affetto… va’ curcati!!!!”
Ho finito
giusto qualche domanda fa di dire che non mischio mai le relazioni personali
con il lavoro e tu te ne esci con questa domanda? E poi, che ci fai distesa sul
divano?? Alzati!!!Non siamo in una commedia americana!!! Quando ho letto il tuo
racconto mi sono divertita moltissimo, quella protagonista era verosimilmente
simile a me, ma in certi tratti molto distante. Però mi sono rivista in questa
donna di carattere....e poi è bello essere coinvolti nel tuo lavoro!!
Tornando
alla tua domanda, potrei dirti che “ogni mattina uno psicologo si sveglia e sa
che dovrà rispondere a decine di luoghi comuni come questo”. Fa parte del
gioco. Per questo ho accolto il suggerimento di un collega di diventare
“informatrice psicologica”. Che significa? Cerco di diffondere la cultura della
psicologia fornendo, se richieste, informazioni su tematiche di psicologia che
smontino idee distorte e aiutino le persone a ricorrere a professionisti come
me qualora ne riconoscano il bisogno. Così, per finire il mio discorso, “ogni mattina
questa psicologa si sveglia, e sa che dovrà darsi da fare….”
Segnala un personaggio interessante
da far intervistare all’interno della galleria dei “mazaresi”, scrivendo a joinegb@gmail.com
(Fonte: PrimaPagina Mazara)