Io
non volevo essere capita,
non
andavo capita né dai mari, né dagli uomini,
né
dai venti, né dagli aborigeni dello spazio,
né
dai campi, né dai futuri migranti del tempo.
L’erba
ai piedi cede, come io alla vita.
E
la gente solleva astio e scandalo,
come
il sole da Oriente.
La
gente ammaina vele di rabbia,
ed
io non andavo capita.
Poetessa
o poeta che sei o sarai,
quale
colpo ci fa credere all’inizio di voler essere compresi, accettati,
interessanti, laureati?
Conquistare
tutti? No, non voglio.
Che
mi capiate voi, poeti d’ogni tempo,
solo
voi unici ascoltatori!
Poeti
che ascoltate, ascoltatori che poetate,
la
poesia è ereditaria.
Ora
la prendo da Whitman (questa è Whitman!), ora da Saffo (la prima!), ora da
Panagulis (quella di ieri!).
Loro
l’Io del domani.
Poeti
che ascoltate, ascoltatori che poetate,
la
poesia è dell’élite.
Ora
dell’umile contadino,
ora
dell’umile dipendente,
ora
dell’artista che, prezzandole, vende le proprie opere.
Sempre
della mente, sempre dell’umile sensibilità dell’universo.
«
Tu succedi » mi disse l’amante,
Io
succedo, aveva ragione.
Disse
l’amante mia, o forse mio:
non
ricordo più lo spazio suo
e
non so la sua forma,
il
corpo suo quale sia.
Accadiamo
nella vita, sulla Terra, sulla terra,
accadiamo
nel canto e accadiamo nella felicità
o
nel cadere.
Io
succedo, accado, eredito, vengo prima di voi.
Che
voi mi perdoniate, o dimenticatemi!, se non avrò fatto bene,
se
avrò sperperato la poesia che ho ricevuto, senza accrescerla di credito.
Ma
verrà l’estate in cui sorriderete di nuovo,
risorgeranno
le città morte, tristi, mafiose,
il
dolce vino tornerà nelle feste.
La
paura ci rese saggi,
l’amore
folli,
il
coraggio coraggiosi.
I
sognaggregatori camminano soli.
I
poeti camminano soli.
Camminate.
Camminate.
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